Testo scritto per la mostra “Crocifissioni e altri paesaggi primaverili”, Galleria Giacomo Guidi, 2012

La mia mostra propone lo stesso sentimento inaugurale inscritto nell’apertura di uno spazio, non solo come luogo espositivo, ma come spazialità espressiva aperta e accogliente, muta e respingente, sbiancata e colorata.
Le opere che espongo sono forme e materiali che si aprono come fa il fiore dopo la preparazione invernale. Esse sono il risultato di un inverno senza aiuto, in uno studio dove nessun altro ha messo piede o mano, occhio o mente.
La mostra ha la forma di un individualismo un po’ solitario, che però non ci parla con voce intimista … racconta il piccolo che sfugge dal grande.
Tutto si apre, per primo lo studio, le sue pareti si muovono per stare dentro una misura esterna: quella della galleria.
Come fa l’albero che cerca spazio nel bosco e il bosco che si adagia nella pianura e la pianura che spinge i monti verso l’alto.
Anche la testa si dischiude, come una scatola aperta, come un fiore che sboccia veloce, come lo sguardo che rimbalzando colpisce lo spazio storcendolo e formando angoli dove si annida una forma che vi abita come un uccello.
I lati scoperchiati della scatola si proiettano a nord, a sud a est e ovest a formare una croce e trascinandosi dietro un po’ di quel colore che ne tinge il cuore vuoto.
La galleria accoglie lo studio, lo studio le opere, le opere lo sguardo appassionato del popolo, il popolo gli artisti, gli artisti lo sguardo furente del popolo, lo sguardo attraversa la trasparenza delle opere che si vanno formando nello studio, lo studio si inchina (piegandosi) a rendere omaggio allo spazio pubblico della galleria.
Dentro questo canto armonico, che ci abbraccia lasciandoci soli, siamo noi, ora, a guardarci negli occhi.

Alfredo Pirri
Roma, Aprile 2012

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