Testi di Daniela Lancioni e Daniela Bigi per la mostra In ricordo di Nicola Santoleri, Cantina Casa Santoleri, 2011

Per Alfredo Pirri a Guardiagrele

L’accoglienza fu amabile. Ricordo una bella giornata dedicata al lavoro di Alfredo Pirri in compagna degli amici e di un ospite che generosamente ci fece visitare la sua terra (particolarmente fausta per me la visita a una anziana signora artefice di scopette portafortuna). Partimmo da Guardiagrele con il ricordo di una bella mostra e un dono che ancora conserviamo, una sorta di mantello da officiante che Pirri aveva disegnato per le bottiglie del vino Santoleri. Anche il vino che il mantello proteggeva ci fu donato, ma quello fu presto consumato. Persistente, invece, e ancora oggi vivido il ricordo di una stanza inondata dal colore rosso. Una stanza rossa che rossa non era, se non in una certa misura. Una stanza pervasa di pigmento, entrando nella quale si diventava parte di un insieme. Un tutto intangibile che non poteva dirsi atmosfera, perché, pur impalpabile, aveva un carattere inconfutabile.
Alfredo Pirri aveva coperto i mobili del salone di casa Santoleri con lenzuola bianche. Per una persona della mia generazione, che è la stessa di Pirri, i teli bianchi stesi sui mobili stanno a indicare un atto di protezione, si proteggeva in quel modo la mobilia dalla polvere in caso di lunghe assenze da casa o durante i lavori di tinteggiatura. Di fatto il soffitto della stanza era stato dipinto di rosso. Appeso a questo soffitto, un lampadario di cristallo con le lampadine accese al posto delle candele per le quali era stato in origine predisposto, catturava il colore e diffondeva nell’ambiente il riverbero rosso. Un colore rosso che si mischiava ai colori terrosi del pavimento e delle pareti, ma che veniva restituito in purezza dai manti immacolati delle lenzuola.
L’effetto era impressionante e il mio stupore legato soprattutto alla sensazione di trovarmi di fronte a una esaltazione del modus operandi di Alfredo Pirri. La stanza rossa mi apparve l’esito felice del lavoro intrapreso con le prime Squadre plastiche. Se è legittima l’esigenza di accorciare la distanza tra i sistemi opposti di razionale e irrazionale, scienza e mistero, volontà e fato, si può guardare alle Squadre plastiche di Pirri apparse nel 1987 e ad alcuni suoi successivi lavori, come a un modo di accostare quanto il pensiero moderno ha separato e il pensiero postmoderno, una volta ridotti i termini in questione a unità inconciliabili, ha smembrato.
L’auspicata conciliazione nell’opera di Pirri sta nell’invenzione di una pittura del tutto diversa da quella largamente diffusa all’epoca dei suoi esordi e che non si affida all’evidenza fenomenologica del quadro, ma è assegnata a qualcosa di immateriale, impalpabile e vago, come il riverbero. Una pittura che si manifesta sempre in relazione a un elemento realizzato o predisposto dall’autore, una sorta di dispositivo che sembra avere la funzione protettiva di uno scudo. Non lo scudo istoriato degli eroi antichi, ma un superficie austera, sacrificata, qualcosa di transitoriamente negato o parzialmente annullato.
A Guardiagrele le lenzuola stese sui mobili e sulle quali si esalta il riverbero, oltre al gesto protettivo di cui si è detto ricordano l’oscuramento delle immagini sacre che nella liturgia cristiana si compie nei giorni della passione. Nelle Squadre plastiche ad essere evocato è un altro rito sottrattivo, quello della tradizione moderna della tabula rasa. Sono superfici geometriche appese al muro come quadri, alte e strette come alberi, colonne e corpi umani, somigliano in realtà alle porte di una fortezza. Mute sul fronte, sono dipinte sul retro e dai loro bordi, leggermente discosti dalla parete, il colore si irradia come un alone o un’aureola.
Semplificando, possiamo vedere nell’ordine ortogonale e nella serialità delle Squadre plastiche, l’adozione di quell’esprit de géométrie che ha salvato l’uomo moderno dal negativo dell’esistente. Ma su questi supporti pur pronti all’uso Pirri non ha agito ulteriormente, trattenuto, forse, dalla consapevolezza di dover scendere in campo contando su altre forze. Spinto, forse, da un’attitudine alla protesta – eredità moderna ma anche comportamento distintivo della nostra generazione – ha steso il pigmento su una superficie opposta a quella assegnata alla pittura, ossia sul retro del supporto. Il risultato è un colore che deflagra nell’ambiente come una presenza magica, una flagranza, un vento, un respiro, un’anima.
Addestrato ormai a far dialogare geometria e spirito, a Guardiagrele Pirri pare aver disposto, sicuro di sé, i suoi termini nello spazio. La squadra plastica ammorbidita nella pezza del lenzuolo continuava a svolgere una funzione protettiva, questa volta giocosamente volta alla salvaguardia degli attrezzi domestici del padrone di casa. Le stesse lenzuola proteggevano l’opera, e noi che ne eravamo i destinatari, dai fatti di cronaca quotidiana e dispiegavano al loro posto un campo immacolato. Su questo territorio – velario, pensato in relazione al luogo e ai suoi abitanti, deflagrava e si esaltava una presenza impalpabile, ma altresì vera, dello stesso colore del sangue indizio dei termini opposti per eccellenza, vita e morte, che solo la fantasia può conciliare.

Daniela Lancioni

Costante rosso

Ci sono alcune costanti del fare di Alfredo Pirri che è stato interessante mettere a fuoco in quel contesto così intenso, denso, che appartiene a Casa Santoleri, tra tracce di abbandono e sentimento di ruralità, memoria di sofisticata operosità ed energia di rilancio.

Tra queste costanti c’è ad esempio il rapportarsi ininterrotto al senso profondo della tradizione, un incessante interrogare quella possibile direttrice di forme e ragioni che ci collega ad un passato recente o lontano, rendendo tangibile l’appartenenza ad una civiltà. E’ qui che si alloca quel rispetto pregno di curiosità che l’artista ha più volte ribadito nei confronti dell’artigianato, di quell’armonioso e meticoloso rapporto che lega l’artefice alla natura, ai materiali della natura, in una dimensione che in un imperdonabile abbaglio la nostra società ha voluto relegare ad una impropria condizione di marginalità. Questa dimensione ormai desueta faceva invece onore all’amico e committente Nicola Santoleri, che proprio di quella vetusta perizia, oltre che di inesauste cure, nutriva il suo fare impresa.

Poi annoterei, tra le costanti, la centralità della condivisione. Il lavoro che Pirri ha realizzato nella casa e nella cantina di Guardiagrele sembra aver preso forma da un percorso di stupore condiviso, da una dialogica condizione di esperienza. Quell’eccitazione di bottiglie ammantate che accorrono al richiamo del vino nuovo sembrano tradurre l’emozione partecipata di un valore, la fascinazione per un evento che ritorna, gioioso. Un’immagine vibrante, in quella cantina, tra alte botti, che apre finestre impreviste sulla nostra storia. E anche la serie di piccole sculture che come lievi apparizioni marcano il percorso tra le stanze della casa sembra testimoniare di una reciprocità. Rinuncia alla centralità spettacolarizzata dell’autorialità, si ritrae dalla retorica espositiva, sembra piuttosto voler assecondare gli sviluppi narrativi di un racconto ripetuto più volte, e comunque prolungato nel tempo.

Tempo fa Alfredo scrisse: “La mia attenzione è rivolta a luoghi autentici di identificazione, che sono i luoghi della civiltà”. Probabilmente tra quei luoghi ad un certo punto si è aggiunto anche questo, per il suo specifico affettuoso ma anche per l’estendibilità del suo portato di civiltà.

E ancora, infine, una costante: l’esperienza cromatica della realtà. Rosso e bianco, all’improvviso, mettono in scena una squillante drammaturgia dell’assenza. Il rosso è soverchiante, è mobile, sontuoso. Il bianco è stabile, è solido, sembra inesorabile. In realtà i bianchi sono due: uno, avvolgendo gli oggetti della vita, ci parla dell’ineluttabilità dello scorrere del tempo; l’altro, il cumulo di farina, non si arrende, nel suo essere organico vuole continuare ad interagire con spazio e tempo, trasformandoli e trasformandosi secondo l’imponderabile parabola della natura.

Daniela Bigi

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