IDRA. ISTITUTO DI RICERCA ANIME
presso l’Hotel Corte San Pietro Matera, nell’ambito del progetto Matera Alberga e di Matera Capitale Europea della Cultura 2019
a cura di Francesco Cascino
Matera, 2019
L’OPERA
Opera di Alfredo Pirri realizzata in una delle cisterne dell’Hotel Corte San Pietro di Matera per il progetto Matera Alberga, nell’ambito di Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
“L’opera di Alfredo dove poesia, arte e architettura si ricongiungono ritrovando la loro matrice unica, riporta alla luce un rapporto tra la cisterna e il Vicinato, il sotto e il sopra, le grotte e la strada, il chiuso e l’aperto diremmo in senso metaforico, e aggiunge passi perduti nei Sassi ritrovati, e nuvole di luce che abitano i luoghi funzionali per riportarli fuori dalla finzione del mero spettacolo, della meraviglia della forma senza funzione per l’anima, ridando loro il compito di informare sulle possibilità di costruire luoghi per anime salve, di fertilizzare l’immaginazione, l’aggregazione attorno al fuoco dell’intelligenza, l’emersione linfatica, la memoria utile e autentica, quella preziosa per il futuro, sognata e segnata da millenni di prosperità e armonia.” testo di Francesco Cascino per IDRA – Istituto di Ricerca Anime
L’ARTISTA
Attese, era il termine che completava il titolo di tutte le opere di Lucio Fontana chiamate “Concetto spaziale”.
Mi sono chiesto spesso cosa lui attendesse o invitasse ad arrivare. Inoltre se questo qualcosa dovesse provenire direttamente dai tagli e dai buchi che procurava alla tela durante l’atto stesso del tagliare o bucare come fossero porte e finestre.
E poi era qualcuno, qualcosa, oppure la pre-condizione di uno stato d’animo, l’esercizio di una forma allusiva, di un nuovo spazio dentro cui vivere e muoversi in assenza di attività produttiva? Cioè uno spazio governato dall’ozio immobile.
L’attendere è un sentire comune e diffuso nei popoli meridionali. Non è una condotta passiva, denota invece fiducia in qualcosa che l’immaginazione sposta di continuo nel tempo e nello spazio futuro come una navicella spaziale perduta nel cielo che vaga prima di ritrovare l’orbita giusta che la riporterà a casa.
Noi, a Matera, abbiamo atteso cinque anni che quanto si era immaginato diventasse reale, un tempo lungo ma non buttato via, un tempo utile a scoprirsi vicendevolmente e comprendersi inventando forme e immagini coerenti con lo spazio della città. Un tempo utile a dare vita a dei rumori sotterranei che paiono animarla come il borbottio di un organo interno che ha fame o è pronto a espellere il sovrappiù. Per me, a Matera tutto accade sotto la sua superficie stradale. Due traffici scorrono paralleli e indifferenti uno all’altro: quello di superficie con le luci e le strade lastricate e quello di sotto, vibrante di gorgoglii e schegge rotte. Fra i due ho posto un filtro che scoppia come il tappo di un barattolo che per troppo tempo ha custodito un mistero che ora sbolle proiettandone il sigillo che lo teneva chiuso verso l’infinito. Dentro l’opera, al suo fianco, di fronte a essa, noi rimaniamo in attesa che questo sigillo sia restituito per sempre allo spazio aperto e ignoto.