Testo di Stefania Frezzotti per Passi, GNAM, Roma 2011

Per le foto dell’installazione clicca qui

UN’ALTRA LETTURA E’ POSSIBILE
PASSI 2011 E LA SCULTURA DELL’OTTOCENTO

Benchè sia passato poco più di un secolo, nell’immaginario collettivo la scultura italiana del tardo Ottocento appare distante quanto un passato remoto e scomparso e tutta quella prolifica produzione che trionfava nelle grandi esposizioni, che nei suoi aspetti patriottici e celebrativi orna ancora le piazze di tutte le città italiane, non fa più parte né del nostro gusto né del nostro orizzonte culturale. Chi, se non uno specialista, può dire di conoscere veramente Giacomo Ginotti o Alfonso Balzico? Chi ha mai sentito parlare di Girolamo Masini o di Antonio Allegretti, artisti spesso noti per una sola opera? Come possiamo apprezzare, se non attraverso una contestualizzazione storico-artistica, Eva dopo il peccato, una donna nuda con la testa fra le mani nel gesto enfatico del pentimento, oppure la liberta romana convertita al cristianesimo Fabiola, protagonista del dimenticato romanzo “Fabiola o la chiesa delle catacombe”? La scelta controcorrente di Alfredo Pirri, singolare ed assertiva, di sottrarre queste sculture dall’invisibilità e dall’oblio dei depositi museali, è stata dettata da una assunzione profondamente personale di quei valori e di quella cultura di cui la scultura italiana ottocentesca è espressione, senza tentare nessun intervento di banale riattualizzazione. Per l’artista quella scultura appartiene ad un momento iniziale nel processo di democratizzazione dell’arte perché, nelle sue versioni da salotto, cominciava ad uscire dal circuito ristretto di una committenza prevalentemente aristocratica o pubblica, per diffondersi negli interni delle case borghesi in una dimensione domestica e popolare. Inoltre, il morbido naturalismo di quella scultura, l’afflato vitale di cui è pervasa, fa affiorare nuove tematiche: la vita della donna, il bambino, la maternità, il dolore, l’amore, la vecchiaia… Come si può rilevare nelle opere scelte da Pirri fra molte altre per dialogare con il pavimento di specchi , in particolare quelle di Alfonso Balzico, si tratta di sculture che rivelano una forte componente di teatralità ed un legame altrettanto intenso con la letteratura, l’opera lirica, il melodramma, il romanzo popolare da cui traggono ispirazione, espressioni dei valori di un’Italia post-unitaria (l’Italia delle nostre origini) di cui non abbiamo più coscienza, o, come afferma Pirri, in cui non ci vogliamo riconoscere perché tutta la nostra storia politica, culturale, morale, è stata annullata e sconvolta dagli sperimentalismi avanguardistici, mentre per l’artista è proprio da qui, da queste radici che bisogna ripartire per fondare una nuova etica . Un nodo fondamentale che attraversa l’opera di Pirri è infatti quello legato all’importanza della memoria come sentimento comunitario e del rapporto che essa instaura fra il passato e il futuro, “non con forme passatiste e citazioniste che ci immobilizzano, ma con un disperato e disperante sguardo rivolto al futuro […] Quando la memoria riesce a mostrarmi il passato come un flusso, una “cavalcata” dinamica di eventi, allora riesce a svelarci qualcosa perfino di ciò che ci aspetta” .
La scultura ottocentesca è ancora essenzialmente una scultura ‘di genere’, termine correntemente usato secondo un’accezione negativa, come sinonimo di una classificazione accademica superata irrevocabilmente dalla libertà sperimentale delle avanguardie, dalla rottura di ogni forma di gerarchizzazione. Per Alfredo Pirri invece il ‘genere’ è una struttura del linguaggio, cui corrisponde un percorso mentale, un codice espressivo e concettuale che caratterizza ogni forma d’arte nella sua specificità, distinguendola da tutte le altre e di cui costituisce la vera essenza. L’arte cioè si esprime attraverso i suoi stessi mezzi in una sorta di autoreferenzialità, ma a partire dal riferimento ad un sistema di idee comunemente condiviso, parla del mondo e della vita secondo un atteggiamento rigoroso e preciso dal punto di vista linguistico, morale, filosofico ed esistenziale.
Nell’installazione della Galleria nazionale Passi, concepita per dialogare con l’architettura di Cesare Bazzani in un gioco di riflessi e rimandi tra alto e basso, esterno ed interno, immagine reale e immagine virtuale, la scultura è usata da Pirri non solo per ricordarci che siamo nell’atrio di un museo, ma, coerentemente con la sua poetica, nella sua materialità e astrazione, presenza ed assenza al tempo stesso. E’ esempiflicativo a questo scopo il collocamento a terra, affiorante tra la luce degli specchi, della maschera funebre di Antonio Canova, calco del suo viso nel momento immediatamente successivo al passaggio dalla vita alla morte, “impronta” che conserva ancora tutta la realtà delle caratteristiche fisionomiche ed espressive del vivente, ma trasferite su un piano di idealizzazione. Il volto di Canova è una immagine “fantasmatica”, è, come direbbe Roland Barthes, il “ciò che è stato”, ma che ora è qui. Per Pirri la maschera funebre di Canova ha la stessa logica interna della fotografia, o meglio, è un ologramma, un’immagine che ha tutta l’apparenza della realtà e tutta l’inconsistenza dell’immagine virtuale, creata dall’interferenza tra l’oggetto reale e il riflesso luminoso dello specchio retrostante.
Anche le altre sculture sono altrettante “immagini fantasmatiche”, o ologrammi nati dalle interferenze d raggi di luce, pure apparizioni, benchè materialmente concrete. Togliendo loro la base (elemento che indica una separazione, come la cornice per i quadri), poggiandole direttamente sugli specchi del pavimento, Pirri ha sottratto le sculture da una lettura “musealizzata”, le ha ricollocate nello stesso spazio del visitatore in una vicinanza fisica ed ottica, le ha quasi umanizzate, rese ancora più reali. Negato il legame strutturale e vincolante della scultura con la parete, lo sfondo è neutro, o meglio, è il cielo, è tutto l’ambiente circostante che le ruota intorno, e l’immagine è pura luce nel consueto gioco fra presenza e assenza, fra la realtà e il suo riflesso, solo che lo specchio rotto non restituisce l’immagine nella sua interezza, ma ci arriva come frammento, introducendo una moltiplicazione di singoli brani, colti, estrapolati in un continuo spaziale e temporale.

Stefania Frezzotti

[1] Maschera funeraria di Antonio Canova; Alfonso Balzico (1825-1901): La povera, La perduta, La vendicatrice, La Gaiezza (o La civetta), 1856-60; Girolamo Masini (1840-1885), Fabiola, 1868; Antonio Allegretti (1840-1918), Eva dopo il peccato, 1881; Giacomo Ginotti, Euclide, 1883.

[2] Si ricorda che l’installazione è stata progettata da Alfredo Pirri nel clima delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’italia.

[3] Cfr. Conversazione con l’artista,  in “Alfredo Pirri. Bandiera per il Tasso”, a cura di B. Goretti, (Roma 17 marzo 2011), Bari 2011 p. 20