SENZA TITOLO
L’INSTALLAZIONE
Anche in questo lavoro specifico per il Castello di Rende, Alfredo Pirri fa incontrare pittura e scultura, architettura e installazione, facendo interagire materia, volume, spazio e colore come veicoli di luce.
Qui si confronta con l’architettura secolare per ricreare uno spazio che svolga una nuova funzione sociale, politica, culturale in linea con la nuova dimensione museale.
Le “Vetrate”, progettate specificamente per le aperture delle logge delle torri frontali che avevano funzione difensiva, costituiscono chiusura e apertura verso la Valle del Crati e l’Università. Una sequenza cromatica e luminosa che rappresenta un dialogo con il paesaggio tra presente e passato. Lastre colorate che imprigionano inserti metallici come punti di fuga, una sintesi lieve e immaginifica tra la storia secolare del luogo e la nuova vita museale.
Cerchi intersecati tra loro sono visibili giorno e notte, un inno alla luce che di giorno la proietta colorata all’interno delle torri e di notte, di rimando, verso l’esterno facendosi segnali luminosi del museo quasi a proiettare all’esterno il patrimonio artistico contemporaneo che è all’interno.
Un’opera che offre una diversa percezione dell’esperienza dello spazio e dell’architettura, una installazione che vive sul filo del rapporto tra arte e architettura, tra unità e frammentazione, come è tipico del lavoro dell’artista.
L’opera interagisce con le massive torri angolari aragonesi (1442-1507) realizzate da Ferrante Alarcon de Mendoza, in analogia stilistica ai castelli coevi di Puglia, che trasformò la diruta costruzione normanna in residenza fortificata. Da allora numerosi terremoti e interventi di ammodernamento hanno cancellato l’identità architettonica originaria. Corridoi continuativi per realizzare uffici hanno tagliato le sale, il rifacimento dei solai ha provocato la perdita degli antichi soffitti e pavimenti e di ogni traccia decorativa. L’aggiunta di superfetazioni negli anni ’50 ne hanno alterato i volumi e la lettura del monumento.
Alfredo Pirri propone un confronto figurativo e spaziale con la tradizione urbana e architettonica, una suggestione poetica che sottolinea il rapporto tra città e museo, tra il fuori e il dentro. L’opera così entra armonicamente a far parte del contesto dei lavori contemporanei che costituiscono il museo e interagisce con lo spazio offrendo un ulteriore livello di lettura tra materia, colore e luce in un suggestivo dialogo intimo e segreto.
Un’opera in continuità con le linee architettoniche del castello in un’armonia scambievole in cui l’opera e e il suo contesto si confrontano integrandosi come l’allegoria di un sogno. Il colore sottolinea le linee architettoniche e le riscatta dal grigiore cementizio. L’installazione diventa così simbolo della nuova funzione e istituzione museale, elemento iconico e segnaletico.