PROSPETTIVE CON ORIZZONTI
Auditorium del Maggio Fiorentino,
Firenze, 2022
IL PROGETTO
L’opera dal titolo “Prospettive con orizzonti” nasce nella città di Firenze come copertura del nuovo auditorium del Maggio Musicale Fiorentino posto sul limitare del parco delle Cascine. L’intervento, a scala urbana, si sviluppa su una superficie di notevoli dimensioni, circa 2.270 metri quadri.
La sua ideazione prende forma fin da subito dialogando con quanto già previsto in precedenza dai progettisti di ABDR che avevano immaginato una suddivisione in due livelli di cui il sottostante calpestabile e il secondo, lievemente emergente, avrebbe dovuto accogliere delle fioriere incassate e organizzate secondo linee lunghe e parallele distribuite sui tre aree separate.
La suggestione che ho subito ricevuto dal primo sopralluogo, nel momento in cui mi è stato chiesto dall’architetto Paolo Desideri e dalle imprese titolari dei lavori SAC S.p.a. ed IGIT SpA di ripensare al progetto per trasformarlo in un’opera d’arte, è stata di trovarmi di fronte all’ordito architettonico costituito da linee e volumi regolari e iterativi caratteristico delle architetture rinascimentali fin dalle sue origini.
Un insieme di regole e ripartizioni cromatiche ottenute attraverso la ripetizione di schemi essenziali e ritmici finalizzati a determinare un’armonia non accomodante bensì dinamica, fatta di opposizioni e contrasti che convivono fra loro non forzatamente ma con una tensione interiore.
Ecco che le linee delle fioriere, ormai solo accennate perché colmate, diventano immediatamente qualcosa che ha a che vedere col disegno prospettico: linee di fuga che trasportano lo sguardo verso un orizzonte lontano e contrassegnato dal profilo molto noto di una delle città più belle e famose al mondo.
Quelle linee di fuga si trasformano nella mia immaginazione in altrettante linee fatte di colori che con il loro sviluppo orizzontale pone le basi per diventare un paesaggio che si innesta nell’altro.
Successivamente ho iniziato a pensare di integrare queste linee con le relative aree di appartenenza facendo debordare il colore all’esterno delle tracce stesse per farne la sede di elementi tridimensionali affioranti dal suolo che realizzano la visione di un luogo urbano nuovo che si collega a quello circostante sia nel verso della città meno interessante dal punto di vista storico artistico, sia verso quella monumentale.
Così inizia a prendere corpo una sequenza di forme piene e vuote che si inseguono e si succedono fra loro determinando un succedersi cromatico e luminoso che muta asseconda l’alternarsi del giorno e della notte e dell’affiorare o sprofondare degli elementi.
L’insieme di questi ritmi formali acquista la forma di una partitura musicale di tipo seriale come fosse la trascrizione tridimensionale di un’opera di Anton Webern o di Bruno Maderna, in omaggio alle finalità espressive dell’edificio sottostante. Un edificio per il suono e per tutte le forme artistiche moderne o recenti, che guarda il cielo con la sua facciata esposta in orizzontale e non più su quel piano verticale rappresentativo di ciò che emerge dal suolo come una roccia sul lago. Una facciata che sfugge alla vista, da percorrere più che da guardare e da immaginare a volo d’uccello.
Parallelamente a questa partitura immaginata per le tre aree sovrastanti ne prende forma una quarta posta in quella zona della copertura destinata a proporsi come piazza/osservatorio.
Dentro quest’area è posta una struttura monumentale (ma pur sempre orizzontale) composta da una grande vasca di acciaio corten che contiene specchi irregolari e rotti posti in piano che riflettono il cielo alternate a zone di terra che ospiteranno piante che crescono spontaneamente.
Queste forme tanto essenziali quanto complesse rappresentano lo spirito stesso della città di Firenze e sono rintracciabili in tutto il suo tessuto urbano, da quello antico a quello moderno. Da questo ritmo ho preso ispirazione facendone il motivo ricorrente e principale del mio lavoro.
Un omaggio a quel modo di trattare la geometria che ne esalta non tanto la struttura massiva ma il suo lieve equilibrio e la sua trasparente qualità luminosa e la sua dimensione umana. Un esempio è stato per me la stazione di Santa Maria Novella di Giovanni Michelucci dove l’andamento rettilineo è una costante senza essere mai banale ripetizione e il timbro cromatico si muove sempre dentro un limite preciso fra terreno (terrigno) e luminoso (in faccia al cielo).
L’OPERA
L’opera, fin dal suo esterno, si presenta al visitatore come un sito archeologico metafisico, oppure una cava di marmo dentro la quale è scavata una trincea utile all’estrazione del prezioso minerale. In ogni caso un sito dentro cui penetrare sovrastato da aree colorate sovrapposte come una copertura, un cappello protettivo, una serie di colaggi conservativi stesi a preservare il luogo dalla sua rovina.
Le “trincee” interne preesistenti si sono presentate ai miei occhi durante una fase momentanea di riconversione e di smantellamento dei rivestimenti ceramici danneggiati. Questa fase ho deciso di congelarla per sempre facendo apparire le facciate nude nel loro biancore di gesso punteggiato da elementi sopravvissuti alla rimozione, tracce di corrimani, griglie di areazione, sistemi di illuminazione incassati….
Nulla è stato tolto o modificato. Camminare dentro queste tracce è come rievocarne il passato funzionale, il loro essere trincea della storia, tanto recente eppure già costituitasi come passata.
Abbiamo sperimentato il concerto del colore che si fa solido diventando cemento qualitativo. Grazie agli studi dei tecnici e dopo campionature cromatiche varie si è realizzato un cemento colorato in pasta con caratteristiche di rispetto per l’ambiente e di grande tenuta alle sollecitazioni ambientali, nonché di resistenza cromatica molto elevata.
Questo materiale costituisce il “colorante” usato per coprire le terrazze soprastanti le trincee ed è stato applicato (sostituendo la mano dell’artista pittore con quelle di operai specializzati) per zone preliminarmente delimitate da barriere metalliche necessarie non solo a contenere la malta cementizia ma destinate anche ad essere percepite come linee che riprendono i precedenti tracciati delle fioriere intorno alle quali si costituisce l’intero disegno dell’opera continuando, quindi, a dialogare col tracciato architettonico preesistente.
Le terrazze ospitano anche una serie di elementi metallici (acciaio corten, acciaio trattato con bagno iridescente, rame) affioranti dal suolo secondo misure diversificate ma modulabili a cui fanno da contrappunto fasce di specchio e vetro stratificato contenenti piume vere, incassati nello spessore del cemento colorato dove si riflette il cielo.
Gli elementi tridimensionali affioranti compongono un contrappunto con quanto sembra sprofondare verso il basso e le terrazze colorate appaiono come uno strato sottile di separazione fra questi due stadi …. Quello che sale contrapposto a quello che scende, solo che, in uno scambio di senso, a scendere è il cielo che penetra la solidità del cemento e a salire sono le cose solide che paiono emergere dal sottosuolo.
L’insieme di tutti gli elementi contribuisce a costituire un piano osservabile con prospettive differenti che si confronta con la città tutta intorno fino alla lontananza massima immaginabile.
La visione di un insieme di strati e materiali si mischia e si impasta con quella della città reale ricucendone la continuità costruttiva e dando al contempo valore e materia ad un vuoto irreale e muto …. Ma allo stesso tempo risonante come il metallo.
Le fughe prospettiche differenti pongono l’accento su particolari significativi di questa città sia dal punto della cultura architettonica che civile e le cupole e i campanili che si intravedono sembrano ancora di più sfidare il cielo graffiandolo con le loro punte aguzze, sfidandolo affinché precipiti avvicinandosi a noi anche se in forma di frammenti.
I corridoi, le trincee dentro cui camminiamo, e dalle quali rivolgiamo lo sguardo all’esterno sono adesso diventate le vasche intoccate, anzi di più destinate a conservare i resti delle lavorazioni compiute, gli scolamenti del sovrappiù dei colori, le ruggini prodotte dalle barriere metalliche, le tracce lasciate da chi vi ha lavorato. Tutto un catalogo di gesti e di comportamenti (degli uomini e delle materie) che normalmente tendiamo a nascondere dietro strati di pittura o di ceramica e destinate ad affiorare solo in un futuro lontano quando, cioè, tutto sarà nuovamente effimero e offeso dal tempo.