Testo di Ludovico Pratesi per la mostra Crocifissioni e altri paesaggi primaverili,Galleria Giacomo Guidi, Roma, 15 maggio -15 settembre 2012

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Uno spazio che sogna se stesso.

“L’arte è il motore di cambiamento della realtà”. [1]

In un importante testo del 2003, Alfredo Pirri sottolinea la necessità di attribuire una responsabilità di carattere morale ad un’arte “che da una parte evapora dalle cose e dall’altra riprecipita sulla terra come una pioggia battesimale”.[2] Un segnale preciso che in questo momento storico si carica di una forza legata alla capacità di farsi luogo della condivisione, vettore di senso e portatore di punti di vista differenti dal consueto. Per adempiere a tale responsabilità Pirri ha concepito un intervento articolato e complesso, come una parentesi di riflessione in forma di dichiarazione poetica che si struttura intorno all’idea di mettere in relazione due momenti diversi di vita dell’opera, l’ideazione e l’esposizione. Abbattendo il confine che separa la dimensione pubblica da quella privata, attraverso un procedimento di distorsione l’artista ha letteralmente ricostruito il suo studio in via del Mandrione, adattandolo all’architettura della galleria. Uno spazio che sogna se stesso, concepito per custodire le opere di Pirri e accogliere periodicamente lavori di altri artisti, in un processo rizomatico in grado di dare vita ad un’agorà, un laboratorio della visione dove la dimensione del dialogo torna a rendere fertile lo spazio, ad abitarlo con una vis poetica positiva e dinamica.

“ Le opere che espongo sono forme e materiali che si aprono come fa il fiore dopo la preparazione invernale, sono il risultato di un inverno senza aiuto, in uno studio dove nessun altro ha messo piede o mano, occhio o mente” .[3]

Le ultime opere di Alfredo Pirri riprendono paradigmi presenti nel suo lavoro precedente, che scaturiscono dall’incontro tra luce, colore, spazio e materia. Un equilibrio consapevole raggiunto all’interno di una “lingua luminosa”[4] che si sviluppa attraverso un vocabolario di forme essenziali, frammenti di oggetti squadernati e ricomposti per diventare icone del quotidiano, archetipi di una leggerezza perduta e ritrovata, vissuta come la saudade dei portoghesi, un sentimento di nostalgia creativa di un modernismo alleggerito dell’ideologia ma non della sua struttura etica. Nello spazio abitato dagli incontri tra le opere, che mantengono l’intimità di dialoghi silenziosi e segreti, condivisi solo per il periodo della mostra, le scatole aperte si trasformano in croci laiche, dove la luce incontra la materia e la battezza per rivelarne il cuore fragile ma vivo e felice. Opere leggere e gioiose, in grado di suggerire relazioni tra concetti poetici, letterari e simbolici, all’interno di un territorio armonioso e consapevole, indice di un’attitudine costruttiva che conduce la matrice minimalista verso orizzonti sensibili ed evocativi.

“Il mio lavoro è tutto lì, in quell’attimo di stordimento che si avverte quando si varca l’ingresso, un disorientamento che rende necessario riunificare le cose in un altro luogo, più interiore, che non si lascia cogliere dallo sguardo”.[5]

Ludovico Pratesi

[1] Cfr A.Pirri, Sulla responsabilità dell’arte, in Alfredo Pirri. Dove sbatte la luce.Mostre e Opere 2003-1986, Skira, Milano 2004, pg. 25[2] Idem, pg 26.[3] A.Pirri, Crocefissioni ed altri paesaggi primaverili,redatto in occasione della mostra omonima presso la galleria Giacomo Guidi, maggio-settembre 2012.

[4]A.Pirri, in Dove Sbatte la luce…, pg.181.[5] Idem, pg.194