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MAXXI

Concorso Internazionale per la creazione di un’opera permanente nell’atrio del museo
MAXXI, Museo delle arti del XXI secolo
Roma, 2009

IL PROGETTO

Il mio progetto trova origine da un percorso di opere  ambientali realizzate in luoghi sacri o altamente simbolici nelle quali lo spettatore si trova al centro di una narrazione deformata e spezzettata che ribalta quel meccanismo consolante che ogni luogo “sacro” (nella dimensione più ampia che si possa immaginare del termine) possiede.
L’accesso al museo diverrebbe un ambiente espositivo auto-critico ed insieme celebrativo, infatti lo specchio infranto contenuto nell’opera ci restituirebbe un’immagine frammentata dello spazio, come in un mosaico Bizantino, dove si racconta l’impossibilità per l’arte di farsi “specchio del mondo”, come invece vorrebbe certa tradizione culturale occidentale. Allo stesso modo, il museo contemporaneo non dovrebbe raccoglie l’arte solo per testimoniarne l’esistenza ma per restituircene pezzi problematici  celebrandone la bellezza, insieme alla sua caducità – la gloria, insieme al suo fallimento.

L’OPERA

L’opera proposta è composta da due parti: una terrena e una aerea.
La prima parte, quella terrena, si presenta come un percorso che accoglie lo spettatore orientandone i movimenti.
E’ appoggiata al pavimento e assume la forma di uno stato cellulare colto in un momento di pausa dal continuo mutare; come cellule neurali tra loro collegate tramite sinapsi colorate. Grandi “pasticche” di cristallo durissimo di colore bianco-diafano lasciano intravedere al loro interno superfici di specchio infranto dentro le quali l’architettura si rispecchia, leggermente filtrata come da piccole increspature.
Le zone di connessione fra le pasticche (colorate nel disegno), appaiono invece come delle “sinapsi” completamente trasparenti. Dentro questa trasparenza lo stesso specchio infranto ci restituisce frammenti dell’edificio, colorandone alcune parti e spezzettandolo a seconda del movimento dello spettatore, del suo punto di vista momentaneo e dalla sua sua posizione nello spazio (sia orizzontale che verticale – lungo le scale). Di conseguenza, il suo piano d’appoggio (il “pavimento”) è percepito in un modo triplice armonicamente convivente e ricco: quello reale in grigio, quello colorato e limpido, quello opalescente (che domina).
Le pasticche si addensano nelle aree a terra dove si proietta virtualmente il vuoto fra le scale, da cui sembrano prendere origine, mentre si fermano a ridosso del mobile di accoglienza, ruotandogli come intorno ad uno scoglio.
La seconda parte dell’opera, quella “aerea”, è composta da circa sei elementi che calano dalla travatura attraversando gli spazi vuoti fra le scale e fermandosi a differenti altezze. Questi elementi sono posizionati in relazione con alcune delle pasticche a terra, anzi, queste appaiono essere una “base” di riferimento per gli elementi esili che cadono dall’altro formando una sorta di dialogo fra scultura a terra e disegno aereo. Solo ad un secondo sguardo questi elementi cominciano ad apparire dei trapezi e le pasticche (di conseguenza) delle pedane da circo. Quelli che sembravano disegni semplici, lineari, che richiamano la tradizione ortogonale ereditata da Mondrian, ora ci appaiono animati da fantasmi di acrobati che volano nel vuoto fra le scale e le attraversano lanciandosi da un trapezio all’altro sfidando la staticità e rischiando la vita. Infine lasciando a terra, nei motivi infranti dello specchio, i segni della loro caduta (dando a noi motivo per riconoscerne l’origine).
Angeli ribelli che precipitano per troppo desiderio d’altezza o angeli che vogliono tornare a terra per toccare le cose; in entrambi i casi alludono a quello che sanno fare l’arte e l’artista.
L’opera, nel suo insieme, è un racconto di come l’architettura entri nell’arte, uscendone trasmutata, e di come l’arte offra ad ognuno di noi una doppia possibilità: orientarsi nello spazio per poi perdersi nel cielo del racconto, oppure perdersi nell’immagine per poi lasciarsi colpire dal reale che piove dall’alto.

Testi di: Vicenc Altaio, scrittore, saggista e direttore dell’Ars Santa Monica di Barcellona, Jannis Kounellis, artista e Federica Zanco, architetto, direttrice della Barragan Foundation, Basilea clicca qui

PROGETTI E RENDER