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RACCONTI

Galleria Oredaria
Roma, 2006

LA MOSTRA

La mostra è introdotta da una lunga parete (appositamente realizzata) che scorre come un nastro, come una storia. Il muro ospita una serie di 15 acquerelli dal titolo: Acque. Ognuno di questi, mostra differenti modi della pioggia di scivolare sul vetro formando rigagnoli regolari che a volte si aprono  in campi ampi e disordinati. E’ come guardare dall’interno di una casa, attraverso le sue finestre, verso fuori, con la pioggia che si frappone facendo da filtro… forse l’interno è quello di alcune sculture in forma di edifici che si scoprono al termine della parete. Due acquerelli simili ma di dimensioni più grandi completano la serie, collocandosi altrove.
Nella galleria, dopo gli acquerelli, sono presenti tre opere tridimensionali animate nei loro spazi interni dalla luce riflessa della pittura che  “piove” dall’alto che a volte tinge di rosso figure  bianche come  fantasmi oppure stanze vuote, o spazi  delimitati da piume bianche. Queste costruzioni sono rappresentazioni di ambienti che si sovrappongono l’uno all’altro in maniera più o meno ordinata nei cui interni si lascia percepire l’accadere di qualcosa, sia in termini temporali che narrativi, dando vita ad una sorta di commedia interiore.

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LE OPERE

Una di queste sculture, col titolo: White cube, è composta di cubi bianchi, algidi, che richiamano alla mente gli ambienti in cui è cresciuta e si è sviluppata la cosiddetta “Arte contemporanea”, quegli spazi bianchi e indifferenti che nella cultura moderna sono stati concepiti come recinto e accampamento momentaneo per l’arte dei nostri tempi finalizzati all’esaltazione dei suoi temi prediletti, primo fra tutti il tema del vuoto.
Un’altra, dal titolo: The house of rising sun, come la celebre canzone è colorata all’esterno di un rosso tenue e all’interno è animata da gruppi di figure in attesa di qualcosa che, forse , riguarda l’arrivo stesso della luce. Queste figure sono colte come bloccate dall’azione luminosa di un astro (il sole, la luna…) che con un flash gigantesco li coglie improvvisamente.
La terza, si intitola: Le jardin féerique, come il brano di Maurice Ravel. Questa non è concepita come un edificio. E’ un volume autonomo, autosufficiente, un parallelepipedo trasparente suddiviso in piani attraversati da un vortice ascendente di luce colorata che si forma su distese di piume bianche che fungono sia da riflettori di pittura che da schermi.
Le pareti della galleria ospitano inoltre due grandi teche di plexiglas (una di formato quadrato 200 per 200 cm. e l’altra orizzontale 90 per 400 cm.) dove, idealmente, le piume generate dal vortice interno alla scultura dedicata al “giardino incantato” si vanno a depositare. In una dando vita a qualcosa che precipita verso il basso, nell’altra a qualcosa che si espande nello spazio con violenza, prendendo una forma orizzontale, quasi come le ali di un angelo. Precipizio e battito lieve si sposano in un’azione comune destinata a dare forza e vivacità alla visione.
Ogni opera è un racconto di sé, del proprio essere in quelle determinata forma e anche particolare di un racconto più ampio dove i temi dell’astrazione e della figurazione si mischiano fino ad essere un tutt’uno, confondendosi l’uno con l’altro, ormai incapaci, singolarmente, di dire qualcosa, per noi, di bello e necessario. Forma e racconto si uniscono dandosi energia reciproca, alleate nel cercare una strada che le conduca più in la del proprio limite conosciuto e sperimentato. Dalle forme che si potrebbero chiamare astratte si generano allusioni narrative, forme e dinamiche quasi naturali che si trasformano nuovamente in dimensioni, forme e colori dal volto astratto, irriconoscibile, bloccate in pose che ricordano quelle fotografiche. E’ la rappresentazione di qualcosa colto in equilibrio fra caduta e ascesa, fra riconoscibile e distante, un equilibrio teso che può spezzarsi in ogni momento. Come fa il mondo, quando, dopo avere a lungo rotolato colpisce finalmente e con violenza i birilli posizionati dagli uomini a raccontare l’ordinato e il comprensibile scompaginandone gli ideali.

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