Canti, Galleria Tucci Russo Maggio – Agosto 2008

INTRODUZIONE
Il canto è apparentato al respirare, ne è una forma consapevole e diurna. Nel respiro automatico e notturno si manifesta correttamente il respiro “diaframmatico” che dovrebbe essere alla base di ogni corretto respirare, così come è alla base di ogni bel cantare. Questa mostra, per me, è un canto armonico che si espande e contrae come fa il respiro. Espandendosi si apre allo spazio intorno e lontano, contraendosi si racchiude nell’opera definendone i confini.

OSSERVAZIONI

Progetti per “Ultimi Passi – Foro di Cesare, Roma 2007”
Queste opere sono gli studi preparatori per l’installazione dallo stesso titolo presentata il Settembre scorso a Roma nel “Foro di Cesare” nel sito archeologico che rappresenta l’atto fondativo della Città Imperiale. L’opera si colloca in un ciclo di opere realizzate in luoghi di particolare interesse storico – religioso e celebrativo, titolate “Passi” alle quali lavoro dal 2002.
Il ciclo ha preso avvio presso la “Certosa di Padula” per continuare alla “Abbazzia della Novalesa”, poi alla “Fondazione Marino Marini” di Firenze, alla “Villa Guastavillani” di Bologna e al “Centro d’arte contemporanea Pescheria” di Pesaro.
L’installazione è composta di una pavimentazione di specchi infranti (in questo caso di circa 580 mq) posta sulla porzione tuttora affiorante del piano di calpestio originale del sito.
L’immagine finale è una resa “caleidoscopica” della visione del Foro di Cesare (di quello che rimane dall’avanzare della storia). Alcune delle parti esistenti dell’architettura, sono riproposte, evidenziandone una visione “trasognata”, dove ogni singolo frammento si offre alla vista potenziato nella sua singolarità e raddoppiato. Si forma una sorta di visione atemporale ed autoreferenziale, al contempo fortemente caratterizzata e segnata dal cammino (dal galoppo) della storia e dai suoi passi che impongono fratture, incrinature etc. in quella visione ordinata che ogni uomo pretenderebbe avere di quanto lo circonda, ed in particolare del passato e delle sue tracce.

Le Jardin féerique 2006
Il titolo dell’opera ricorda quello di un brano di Maurice Ravel appartenente ad una serie di sonatine che Ravel compose per i suoi giovani figli.
Il “Giardino Fatato”, nell’opera, è racchiuso in un parallelepipedo regolare costruito sulla misura di un foglio da disegno che si alza da terra ed attraverso vari strati diventa una sorta di mobile porta-disegni. I piani e le facce di questo “mobile” sono trasparenti e lasciano intravedere una forma evanescente che si va formando di strato in strato. Un turbine rosso a forma di cono con la punta rivolta verso il basso che si muove in un campo azzurro. La forma, è composta di piume bianche che proiettano ed accolgono il colore muovendosi disordinatamente come fossero prese da un vento selvaggio che cerca di spanderle dappertutto.

Arie 2007
Due piani verticali e trasparenti accolgono una pioggia di piume che scivola in modo regolare, quasi geometrico, tracciando segni che fanno pensare al rumore (lieve) di un corpo che cade scivolando e lasciando dietro di sé la testimonianza di questo passaggio. Un corpo alato e pennuto che si è lasciato cadere, quasi saltando, davanti ai nostri occhi, alla loro natura di cristallo, sfiorandoli come una carezza.

Progetto per un interno rosso 2007- 2008
Da lontano si vede una colorazione rossa che tinge le pareti interne di una scatola bianca opaca con alcune parti trasparenti oppure opalescenti. Avvicinandosi, il colore, appare con la stessa intensità di una massa gassosa. Avvicinandosi di più, il colore tende quasi a svanire diventando trasparente. Quella che sembrava prima una pittura si rivela essere l’effetto della proiezione radiosa di un piano monocromo a terra. Il colore di un pavimento che si tinge dello stesso colore della massa di persone che lo abita: Massa di persone, massa gassosa e colorazione sulle pareti interne dell’edificio si equivalgono. Ognuna delle persone che abita l’interno contribuisce con l’altra alla creazione del fenomeno luminoso che invade tutto in modo sinfonico.

Senza titolo 2008
Il vano interno di una finestra ospita i pezzi rotti di quella che prima era il modello di una stanza bianca a forma di cubo. Sullo sfondo, dietro i pezzi taglienti, si continua ad intravedere il paesaggio esterno. Il sole di giorno e la luce artificiale di notte rendono i pezzi incandescenti, come ardessero avendo dentro un fuoco che nella forma precedente (quella di cubo bianco) non era visibile e invece nella forma attuale di catasta gli dà forma e senso.

Canto n.1, n.2, n.3, 2008
La mostra prende il titolo da un piccolo ciclo di tre opere che ho immaginato come tre piccoli monumenti al cinema . Esse sono apparentate dal calco di una pellicola cinematografica 35 mm. contenente un film che viene srotolata ottenendone un’impronta conica che diventa una sorta di metafora di una proiezione luminosa e anche una reale proiezione nello spazio della sua matrice. Il cono diventa così la parte visibile di una proiezione destinata ad espandersi all’infinito. L’immagine di un nastro luminoso e denso di racconti ed immagini che partendo da un punto si apre verso l’ambiente.

Canto n.1 2008
Il cono di pellicola è di colore bianco perlaceo, è posto abbastanza in alto, il vertice è in giù, è chiuso in una scatola trasparente , una luce lo illumina dal basso. Il colore perlaceo è, per sua natura, inconsistente, si mimetizza con l’ambiente facendone la sintesi della tinta generale. In basso, nello spazio vuoto che lo separa da terra si crea un suo doppio, una sorta di fantasma luminoso; irreale ed attrattivo, dove la mano dello spettatore può affondare fino a sparire nella materia luminosa. Il doppio cono crea l’immagine di una clessidra dove materia fisica e luminosa si scambiano di posizione in un tempo eterno.

Canto n.2 2008
Una scatola a forma di cubo e aperta su due lati è posta davanti ad una parete. E’ sollevata da terra di una misura simile a quella di un tavolino. Da fuori è bianca, all’interno è rosso-granato ed alloggia un cono dello stesso colore ottenuto questa volta dal calco dell’interno della matrice in pellicola, della quale ne rimane parziale traccia (come fosse un generatore) sul vertice di fronte allo spettatore. L’immagine può farci pensare ad un megafono, con la bocca posta verso la parete, da cui fuoriesce una luce riflessa che colpisce la parete inquadrata dalla scatola che, in questo caso, fa da cornice alla figura del cono e alla luce che illumina la parete medesima. Partendo dal puntale in pellicola passando alla porzione di cono rosso-granato e poi alla luce incorporea scaraventata verso la parete- schermo, è come assistere ad una progressiva accelerazione della velocità della luce. L’opera appare un dispositivo fisico e luminoso in cui la combinazione di note grevi ed alte danno vita a luce e controluce, soggetto e sfondo, canto e contro-canto, particolare e storia.

Canto n.3 2008
La bocca di un cono è frontale e guarda lo spettatore, il cono intero è poggiato su una struttura composta di tre assi bianche. L’interno è segnato da linee bianche incise nella materia rossa che convergono verso il fondo (oppure provengono da esso?). Questo interno coincide con quello della matrice in pellicola e ci assale quasi venendoci incontro. Il megafono, questa volta, è rivolto contro lo spettatore e al suo centro focale, in fondo, una linea esile e cristallina è incendiata di luce che accentua le linee incise ed abbaglia chi la guarda. Il megafono, il cono, la luce e la materia diventano un fiore col suo pistillo acceso, attraente.

Leggio 2008
Tre assi bianche collegano una base triangolare ad un piano inclinato superiore. Il piano di “lettura” , traforato, è addossato alla parete : una lampada lo illumina dal basso e frontalmente. Lo spazio fra il piano e la parete non è sufficiente ad accogliere il corpo di un uomo che legge, chi legge e racconta è la parete medesima che ospita la proiezione luminosa di alcune lenti poste sopra al piano come fossero occhiali abbandonati insieme alla sua ombra . Uno sguardo colorato si mischia all’ombra rossa del piano trasfigurandosi in un fenomeno atmosferico, come l’alba o il tramonto…  .

Alfredo Pirri

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