Testo per il catalogo della mostra “ Punti di vista. Identità Conflitti, Mutamenti” a cura di Ludovico Pratesi e Fabio De Chirico presso il Museo Nazionale di Palazzo Arnone, Cosenza
IL VECCHIO E IL NUOVO(2)
Nel Film di Ejzenstejn intitolato “La linea Generale”, si narra della vita drammatica nelle campagne russe prima della rivoluzione bolscevica e dei tentativi di una contadina di creare una cooperativa. Il film ha avuto una lunghissima lavorazione perché gli apparati di controllo del PCUS ritenendolo poco realista ne imponevano continui cambiamenti, intervenne perfino Stalin in persona ad ordinarne il cambiamento del titolo in “Il vecchio e il nuovo”.
Nel 1987 ho scritto un testo, per una rivista americana, dopo le morti ravvicinate di Joseph Beuys e Andy Warhol, il suo titolo era “Il vecchio e il nuovo”, ne cito un pezzo: … ecco che stabilita una distanza storica dai padri, seppelliti di fresco le salme dei più prossimi, ai quali ci ha legato un affetto tanto forte da annebbiarci la vista, le nuove pratiche artistiche, appaiono troppo spesso velate dalla nostalgia della perdita e il mezzo plastico diventa solo una sintomatologia, un segnale di svendita, svuotamento dei magazzini dell’arte, un’esercitazione fra stili ereditati, morti… (1) Con quelle parole volevo sottolineare il fenomeno negativo, diffuso al tempo fra tutte le pratiche artistiche, che risolvevano la questione delle eredità culturali attraverso il cosiddetto citazionismo, di qualsiasi natura esso fosse; figurale oppure contenutistico e denunciando, come credo sia tutt’ora valido fare, il rischio di confrontarsi col passato utilizzando la mediazione di una sorta di magazzino di stoccaggio iconografico e di senso al quale attingere liberamente e inconsapevolmente ogni volta che ci si confronti col passato, cioè con noi stessi e con le nostre opere. L’opera d’arte ci mostra il suo aspetto novello quando maggiormente ci proietta nella tradizione per eccellenza “…implicita nello strumento stesso d’ogni trasmissione, il linguaggio…” (2). Sarebbe però errato immaginare questo come un gesto interamente svolto all’interno della grammatica del linguaggio, anzi quanto più si permane al suo interno tanto meno si compie quel rinnovamento che è il tratto distintivo dell’opera d’arte realmente nuova.
Che differenza esiste, oggi, fra le due dicotomie a confronto: Antico/Moderno – Vecchio/Nuovo? Forse nessuna, forse tutto l’antico viene percepito come vecchio e tutto il moderno come nuovo. Forse l’intreccio di valori (antico con nuovo insieme a moderno con vecchio) che ha, fino a poco tempo fa, proposto (imperando) il post-modernismo, affrontandolo e risolvendolo su un piano solo formale, ci ha disabituati ad un autentico dialogo fra quanto è passato e quanto sta per arrivare. Dialogo vivo e necessario a condizione che non siano nuovamente Stalin o un altro nouveau philosophe a imporcene il senso e il ritmo. A condizione, cioè, che siamo noi capaci di ritrovare una strada italiana al raffronto e alla transizione bipolare fra antico e nuovo, intrecciandone segni e senso e componendoli in una trama unitaria fatta di storie e relazioni. L’opera d’arte non è mai innovativa ma re-innovativa. Essa, rigenera il nuovo nascosto in quello che è terminato e consumato dentro una realtà pietrificata e l’invenzione dell’immagine ne rimane lo strumento privilegiato, perché senz’essa non ci sarebbe raffronto, dialogo, che arricchisce il linguaggio, bensì tradizionalismo e formalismo. Vivere il proprio tempo è l’atto che permette anche a quello passato di continuare a restituirci la vita e le domande che ancora contiene “….Non c’è niente di peggio d’essere figliastri del proprio tempo. Non c’è sorte peggiore di chi vive in un tempo non suo… Il tempo ama soltanto chi ha generato, ama i propri figli, i propri eroi, i propri operai. Mai potrà amare i figli del passato, cos’ come le donne non amano gli eroi di tempi ormai andati e le matrigne non amano i figli altrui …” (3). Compito quindi dell’atto creativo è di richiamarci alla vista la vivacità della tradizione rinnovata, mostrarcene la sua viva necessità, la sua assoluta presenza. L’opera rinnova il mondo, lo presenta e lo concepisce per noi che, visitando una mostra come quella di cui si parla in questo libro, ci sentiamo così parte vitale del suo scorrere.
Alfredo Pirri
Roma 2013
Note
(1) Alfredo Pirri, in “Il vecchio e il nuovo”, ICA Journal, Los Angeles e Cominciamenti, De Luca edizioni 1987 – 1988
(2) Karl Jaspers, in “Del tragico”, SE studio editoriale,1987
(3) Vasilij Grossman, in “Vita e Destino”, Adelphi 2008