Perché un punto d’interrogazione dopo la parola progetto?
Perché la mostra non contiene idee?
Perché non si fonda su un disegno?
Perché non ha una visione, e una tensione spaziale?
Perché non aspira ad essere popolare?

Le idee contenute in una mostra sono rappresentate -non in modo figurato- dalle opere. Esse ne esprimono l’origine e il destino. In un certo senso, tanto maggiormente le rappresentano tanto più ne allontanano la percezione sospingendole in un panorama talmente distante da apparire sfocato, confuso. In questa mostra ci saranno due gruppi di opere: circa quaranta acquerelli di dieci anni fa mai mostrati prima e dieci disegni realizzati per l’occasione.

Il disegno di una mostra trova origine nel desiderio di possesso da parte dell’artista dello sguardo altrui. Quindi, come tutti i desideri, per appagarsi, deve sfociare in un atto compiuto che ci porta a sospingere più in là, con maggiore immaginazione, il nostro atto d’amore. Questa mostra delinea la speranza di un prolungamento dello spazio espositivo di India. Disegna il desiderio (che vorrei appagato) di impadronirsi di un nuovo ambiente minacciato di demolizione. Una cattedrale per l’arte che si spinge fuori i confini di India, come un bacio dato in bocca alla città.
Lo spazio di una mostra è sempre più grande dello spazio reale che la ospita. Non solo perché le opere creano uno spazio illusorio (anche quando esse condividono la realtà dell’ambiente) che contraddice la fisicità dello spazio architettonico. Ma perché una mostra gonfia le pareti, i soffitti, i pavimenti fino a farli deflagrare in un pulviscolo invisibile. Tanto che i quadri sembrano appesi su una superficie in via di decomposizione. Nella mia mostra, le due pareti che ospiteranno i lavori appariranno leggere come una sostanza sottilissima, tanto sottile da far pensare alla pelle con la sua doppia qualità; contenere un flusso interiore e mostrarsi all’esterno come superficie (a volte come supporto).

Ogni artista dovrebbe avere un popolo. Non basta avere un pubblico, degli ammiratori, degli amici con cui parlare, o peggio ancora dei “colleghi” con cui condividere un’esperienza. Non voglio dire che l’artista debba essere un capo o peggio un leader. Piuttosto penso ad un rapporto energetico, rinnovabile, in cui non è una delega (delega a rappresentare uno stile o un movimento) a riconfermare la fiducia, bensì la condivisione di una fonte di calore alla quale, tutti insieme, scaldarsi dopo l’esperienza solitaria e triste della ricerca. Questa mostra è, per mè, un appuntamento popolare, un’occasione di festa.

Perché, allora, un punto d’interrogazione dopo la parola progetto?
Perché un progetto non può impegnarsi a rappresentare la vastità di una mostra, un progetto è sempre fuori scala, dice troppo o troppo poco. E’ massimalista o minimalista, introduce o respinge. Mentre noi abbiamo un bisogno vitale di una mostra, che sia ampia nella misura e nello stile, ma senza dogmi e allo stesso tempo semplicemente artistica, ma senza eleganza essenziale. La mostra di cui abbiamo bisogno è più di un progetto, mette in evidenza (drammaticamente) la realtà dell’arte.

Alfredo Pirri
Roma 14 Settembre 2000